i keynesiani del VII giorno, o “too much finance”

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oggi scrivo il trentunesimo post del blog di goofynomics di alberto bagnai e le quattro considerazioni

IL TRENTUNESIMO POST SU GOOFYNOMICS DI ALBERTO BAGNAI

I KEYNESIANI DEL VII GIORNO, O “TOO MUCH FINANCE”

(repetita iuvant)

devo tenere dei seminari. per evitare figuracce volevo controllare l’ortografia di “post-keynesiano” in francese. un accento ci doveva essere, ma data l’origine straniera del nome... google mi porta all’articolo di wikipedia francese sulla https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Post-keyn%C3%A9sianisme scuola post-keynesiana (per inciso, su wikipedia italiana c’è solo quello sulla scuola neo-keynesiana, e voi sapete quanto io ami i nei...), verifico, controllo, niente figuraccia, ma una discreta sorpresa: ho scoperto di appartenere a una setta della quale ignoravo l’esistenza!

sì, perché wiki francese definisce la scuola post-keynesiana come un insieme piuttosto eterogeneo di economisti, classificabili in varie sette, fra le quali, guarda un po’, quella dei “keynesiani del dodicesimo capitolo”. definizione che a me ha fatto immediatamente pensare a certe confessioni protestanti americane, come gli avventisti del settimo giorno (da cui il titolo).

il dodicesimo capitolo, il dodicesimo capitolo... prima ho pensato a quello della https://www.vatican.va/archive/bible/nova_vulgata/documents/nova-vulgata_vt_genesis_lt.html#12 genesi, magari visto come metafora dell’uscita dall’euro (“dixit autem dominus ad abraham: egredere de terra tua”), poi mi sono ricordato che ai tempi di keynes l’euro non c’era e ho capito che il dodicesimo libro doveva essere quello della “teoria generale”, cioè https://www.marxists.org/reference/subject/economics/keynes/general-theory/ch12.htm “lo stato dell’aspettativa a lungo termine” . vi ricordate: ve ne ho parlato in https://goofynomics.blogspot.com/2011/11/keynes-vs-tabellini.html?m=1 keynes vs tabellini, e anche nell’articolo sulla https://www.costituzionalismo.it/crisi-finanziaria-e-governo-delleconomia/ crisi finanziaria. quindi forse sono anch’io un keynesiano del VII giorno, cioè, del XII capitolo. buono a sapersi.

credo sia utile tornare a parlarne, di quel capitolo, in un momento come quello attuale, nel quale anche organi ortodossi ammettono che sì, la finanza ha dei problemi, dei seri problemi, temperando però subito questo ravvedimento con il mantra che “questi problemi sono risolvibili con le regole” (variante, che piace tanto a sarkò: “la crisi americana deriva dalla deregulation”), e, guarda un po’, con “più europa per battere la crisi” (come titola il sole 24 ore). parlare del XII capitolo è utile proprio perché l’analisi di keynes mostra chiaramente come le crisi finanziarie non siano determinate da un difetto di regole o di razionalità. l’instabilità finanziaria è intrinseca alla struttura del mercato finanziario, e coesiste con mercati regolati e comportamenti razionali. ne consegue che le sue disastrose conseguenze possono essere contenute solo contenendo le dimensioni del fenomeno, cioè limitando la finanziarizzazione dell’economia: le crisi ci saranno sempre, ma saranno più piccole.

a quest’ultima conclusione keynes non arriva esplicitamente, o non in questi termini: ci arriva però implicitamente quando, alla fine del capitolo, dice che secondo lui i problemi si risolvono attribuendo allo Stato un ruolo più ampio nella gestione dell’investimento, cioè nel circuito del risparmio. del resto, come ho chiarito in https://www.costituzionalismo.it/fascicolo-32011-crisi-finanziaria-e-governo-della-moneta/ “crisi finanziaria e governo dell’economia”, le politiche “keynesiane” portano naturalmente verso un simile esito, cioè, in soldoni, verso un contenimento del ruolo del settore privato nel circuito del risparmio. l’opportunità di questo contenimento è suggerita da recenti ricerche teoriche e empiriche, le quali concludono appunto che oltre certi limiti la finanza fa più male che bene. non è una grande scoperta, penseranno molti di voi: si sa che il troppo stroppia! ma il fatto che di certe cose si possa parlare in lavori scientifici, il fatto che si possa affermare che forse c’è troppa finanza, non è un progresso trascurabile, anche solo rispetto al panorama di cinque anni or sono.

volevo parlarvene, ripartendo però da keynes, visto che alcuni collaboratori hanno trovato oscuro il passaggio nel quale cerco di spiegare la sua posizione.

IL CAPITALISMO SECONDO GOOFY

vorrei fare una premessa non immediatamente chiara nemmeno a molti sostenitori del libero mercato (vedi sotto): il capitalismo si basa sul debito. lo so, voi direte: grazie! ma voi siete una arcadia. il livello del dibattito italiano, purtroppo, come vedrete, non consente di dare certe cose per scontate. comunque... vogliamo chiamarlo credito?? vi suona meglio?? va bene, chiamiamolo credito, o anche, se volete, massimiliano: la sostanza non cambia. se qualcuno prende soldi in prestito, è perché qualcun altro glieli ha prestati: è l’essenza, la quintessenza, della goofynomics. ci sono unità in surplus, che risparmiano perché consumano meno di quello che guadagnano, e ci sono unità che hanno bisogno di spendere più di quanto hanno guadagnato, soprattutto se... non lo hanno ancora guadagnato (perché sono imprenditori che devono avviare un’attività). il sistema finanziario fa da cerniera fra unità in surplus e unità in deficit.

la storia la sapete, è molto edificante: le unità in surplus, tipicamente le famiglie, prestano i soldi alle unità in deficit, tipicamente le imprese, che hanno bisogno di ingenti fondi per avviare la loro attività. il sagace imprenditore ci guadagna, perché può, con i soldi altrui, avviare un’attività che non potrebbe avviare coi soldi propri. il virtuoso pater familias ci guadagna, perché il sagace imprenditore, avviando i risparmi verso un impiego produttivo, gli restituirà capitale e interessi, permettendogli così di vivere una serena vecchiaia.

capite bene quindi che affermare, come ho visto fare ad alcuni, che in un sistema capitalistico “in generale indebitarsi non è una buona idea” (guardate la https://goofynomics.blogspot.com/2011/12/coming-out-sono-antitaliano-o-no.html?m=1 discussione in questo post) significa non aver capito una beneamata fava (usando le parole di alex) di come funziona il capitalismo. senza debito, cioè senza credito, insomma, senza massimiliano, non c’è capitalismo. il capitale serve se lo puoi prestare (dall’altra parte: prendere in prestito), per fartelo ridare maggiorato degli interessi (dall’altra parte: restituirlo ecc.). la famosa discesa che dal basso sembra una salita. del resto, sulla porta dell’Inferno sta scritto: “non vi inganni l’ampiezza del prestare...”.

(breve inciso: mi sono molto divertito nel vedere sergio che spiegava accuratamente la dinamica del debito al tipo che non capiva nemmeno che il capitalismo si regge sul debito/credito... e ovviamente difendeva a spada tratta il capitalismo, dicendo che il debito è una pessima cosa! anche in inverno le foglie talora nascondono l’albero...)

problema: il virtuoso pater familias e il sagace imprenditore non si conoscono. e quindi ci vuole qualcuno che li metta in contatto. questo qualcuno è il mercato finanziario, che dovrebbe esercitare funzioni di screening dei progetti meritevoli, vuoi direttamente, vuoi attraverso il signalling. che vuol dire?? vuol dire che se il sistema è banconcentrico, il virtuoso pater familias (v.p.f) porta i risparmi in banca, poi la banca pensa lei a trovare l’imprenditore più meritevole (screening). se invece il sistema è mercatocentrico, le imprese si quotano e il v.p.f. va al mercato (finanziario) a comprare le azioni o le obbligazioni che ritiene più promettenti. in questo caso il mercato non fa screening come la banca, ma segnala attraverso il corso e il rendimento dei titoli gli investimenti più produttivi (signalling).

IL XII LIBRO

nel XII libro keynes osserva una cosa molto semplice: è estremamente improbabile che questo meccanismo funzioni, cioè che i mercati convoglino effettivamente i risparmi verso gli impieghi più produttivi a medio/lungo termine, quelli che sono capaci di assicurare al v.p.f. una vecchiaia serena, e all’economia una ordinata crescita. il motivo è semplice. ai mercati non interessa assolutamente “compiere le migliori previsioni a lungo termine sul rendimento probabile di un investimento”. e questo non perché siano cattivi (“la bborza è cinica”, diceva un noto giornalista televisivo), ma perché comportarsi in questo modo (virtuoso e favorevole alla crescita di lungo periodo) non è razionale.

il motivo è semplice: si guadagna molto di più cercando di anticipare quello che gli altri prevedono che stia per accadere a breve, anziché valutando quale investimento è più produttivo a lungo. e il motivo è semplice: se riesci a indovinare quale azione sembrerà buona agli altri (indipendentemente dal fatto che lo sia o meno) puoi anticiparli acquistandola: quando gli altri arrivano, la loro domanda fa crescere il prezzo, e tu puoi vendere e lucrare la differenza. del dividendo, che poi sarebbe il profitto distribuito, non te ne importa nulla: tu guadagni prima che gli eventuali profitti arrivino, guadagni subito, e guadagni anche se l’impresa profitti non ne fa, purché si crei in qualche modo l’aspettativa che li faccia. anzi, non c’è nemmeno bisogno che si crei questa aspettativa, proprio perché il gioco consiste non nell’aspettare la distribuzione del dividendo, ma nel lucrare il guadagno in conto capitale. basta che si crei un’aspettativa che il prezzo salga a breve, aspettativa che un investitore abbastanza grande può creare semplicemente ponendo la sua domanda sul mercato. il merito del progetto del sagace imprenditore?? non interessa. non è razionale interessarsene. capito?? capito bene?? sicuri?? voi sì, ma mettiamo che qualcuno si sia messo in ascolto in questo momento: il problema non è che è cinico disinteressarsene. il problema è che non è razionale interessarsene.

in effetti “sarebbe sciocco pagare 25 per un investimento il cui reddito prospettivo (n.d.r.: i dividendi futuri) sia ritenuto tale da giustificare un valore di 30, se nello spesso tempo si ritiene che il mercato lo valuterà 20 fra tre mesi”. purtroppo “questo è il risultato inevitabile di mercati di investimento organizzati avendo di mira la cosiddetta “liquidità””, e nei quali quindi “lo scopo privato dei più esperti investitori” diventa “passare al prossimo la moneta cattiva”, in un contesto “soggetto ad ondate di ottimismo e pessimismo irragionevoli”, che la razionalità individuale non può contrastare anche perché “è cosa migliore per la reputazione fallire in modo convenzionale, anziché riuscire in modo anticonvenzionale”. dite quello che vi pare: quest'uomo è un genio.

I DISCHI ROTTI: LE REGOLE, LE REGOLE, LE REGOLE (LE RIFORME, LE RIFORME, LE RIFORME; PIÙ EUROPA; PIÙ EUROPA; PIÙ EUROPA...)

le regole non servono. il problema è che finché il mercato è organizzato nel senso di privilegiare la “liquidità” dell’investimento, cioè la possibilità di “realizzarlo” all’istante e con costi di transazione ridotti, sarà molto più razionale adottare una logica di brevissimo periodo. la puoi imbrigliare con regole, ma sempre di brevissimo periodo rimane. se lo scopo è lucrare guadagni in conto capitale, evidentemente qualcuno dovrà subire delle perdite in conto capitale: se vendi a un prezzo “sopra la media”, “sopra il valore fondamentale”, sopra quello che keynes chiama “il reddito prospettivo”, qualcuno sta acquistando a un prezzo “sopra la media”, e quindi si prenderà la sòla, perché alla fine la bolla si sgonfierà, il prezzo ritornerà verso il fondamentale, anzi, cadrà al di sotto, e l’azione diventerà carta straccia in mano all’investitore che ha creduto di poter lucrare per sempre guadagni favolosi.

certo, sarebbe diverso se le risorse venissero convogliate verso investimenti effettivamente produttivi, anziché utilizzate per gonfiare bolle (lucrando sulla loro esplosione). in questo modo l’investimento creerebbe ricchezza e sarebbe possibile trarne dei benefici (in termini di profitti distribuiti) senza necessariamente appoggiare il pacco a qualcuno. ma keynes spiega perché è difficile concepire regole
che scongiurino il fallimento dei mercati finanziari, cioè, in altre parole, che inducano i mercati a valutare gli investimenti solo in termini del loro rendimento nel medio-lungo periodo. continuando a citare dal capitolo XII della teoria generale: per assurdo “un rimedio utile per i nostri mali contemporanei potrebbe essere quello di rendere un investimento permanente e indissolubile come il matrimonio”. costringendo tutti gli investitori a comportarsi come “cassettisti” (cioè investitori che comprano il titolo e lo tengono nel cassetto, aspettando di lucrare i dividendi futuri) li si indurrebbe a effettuare scelte in base ai rendimenti a lungo termine (i futuri dividendi), anziché ai guadagni in conto capitale a breve termine: il sistema ne guadagnerebbe in stabilità e in crescita di lungo periodo.

ma c’è un problema: in un mondo dominato dall’incertezza, piuttosto che vincolare così i propri capitali, molti preferirebbero tenerli liquidi. se ti ammali i soldi ti servono. se hai un incidente?? se perdi il lavoro?? se l’alternativa fosse “sposare” i propri soldi indissolubilmente a un progetto di investimento totalmente illiquido (non “realizzabile”), molti preferirebbero tenerli sotto il mattone. e l’economia crollerebbe per mancanza di fondi. proprio questo è il “dilemma”: la liquidità del mercato (cioè la possibilità di vendere le azioni in proprio possesso in qualsiasi momento) “spesso facilita – benché talvolta ostacoli – il processo dell’investimento nuovo”. quindi bisogna tenerselo come è, il mercato dei capitali, nel capitalismo.

IL RIMEDIO MIGLIORE DEL MALE

oppure no. un rimedio ci sarebbe. si chiama stato. lo stato, “che è in condizioni di valutare il rendimento dei beni capitali in un’ottica di lungo periodo e sulla base dell’interesse sociale generale”, dovrebbe assumere un ruolo più rilevante nel circuito del risparmio.

prima di andare avanti, chiariamo subito un dubbio: voi direte, giustamente, che questa è una visione troppo ottimistica dello stato. concordo. ci sono i fallimenti dello stato. li insegno ogni anno verso la prima settimana di novembre: problemi di informazione asimmetrica, di moral hazard, derivanti dai rapporti fra elettori e eletti, fra eletti e burocrazia, più tutti i problemi derivanti dall’impossibilità logica di definire in modo sensato l’interesse collettivo, e chi più ne ha più ne metta (siete cordialmente invitati nell’aula 9 di viale pindaro 42, 65127 pescara, italy). certo, anche lo stato è un male. anzi, facciamo prima: “a me la vita è male”.

ma dopo aver toccato il grado zero del pessimismo cosmico leopardiano, vogliamo fare due conti?? perché sarà anche vero che lo stato spreca ecc., ma la finanza privata “invece pure”, come dicono a roma. e quindi il rimedio stato, pur essendo esso stesso un male, forse è un male minore del male mercato. lo è senz’altro se lo misuriamo nei termini che qui ci interessano: quelli della distruzione di risparmio causata dai default pubblici e privati nel mondo. i dati ci dicono che uno solo dei tanti default privati dell’ultimo decennio ha distrutto più risparmi di tutti i default “sovrani” messi assieme. il default della lehman brothers https://www.investireoggi.it/obbligazioni/obbligazioni-lehman-brothers-in-arrivo-i-primi-magri-acconti/ su un portafoglio di 600 miliardi di dollari ha visto un recovery rate di circa il 30% in media, il che significa che i risparmiatori hanno perso il 70%, ovvero 420 miliardi di dollari. http://ksuweb.kennesaw.edu/~dtang/CRM/Moodys_SovereignDefault.pdf i default sovrani dal 1998 al 2006 (comprendenti i due episodi monstre dell’argentina e della russia) hanno riguardato un totale di 178 miliardi di dollari, con un recovery rate medio del 55%. in altre parole: le perdite su uno solo dei default privati sono state, a spanna, più del doppio dell’ammontare degli asset pubblici andati in sofferenza nei 12 episodi di default pubblico nel periodo (asset dei quali i risparmiatori hanno comunque recuperato quote molto più consistenti che nel caso dei default privati).

volete ancora venirci a dire che il mercato è sempre un migliore intermediario finanziario dello stato?? e che lo stato spreca sempre i risparmi dei cittadini?? né la teoria né i dati dicono questo. concordi affermano che oltre certi limiti il “rimedio” stato è migliore del “male” mercato. che male non è, purché sia gestito non tanto nel funzionamento, soggetto a una radicale e insanabile miopia, quanto nelle dimensioni. a questo scopo svolgono un ruolo fondamentale i sistemi previdenziali a ripartizione, e lo stesso debito pubblico, che ha rappresentato da sempre una forma di investimento particolarmente appetibile per investitori avversi al rischio. ma il telegiornale ci dice che c’è la crisi del debito pubblico?? e tu faglielo dire, e torna qualche riga sopra a leggerti i dati.

L'ODIO IDEOLOGICO E LE BOLLE

il messaggio che la colpa è dello stato è facile da far passare. a nessuno piace pagare le tasse. ridimensionare lo stato viene visto dall’elettore medio come la scorciatoia legale più ovvia verso una riduzione delle imposte. salvo poi lamentarsi che i servizi non ci sono, e dare, ritualmente, la colpa agli sprechi. sprechi che, per carità, esistono, qui come altrove (parleremo anche della produttività del servizio pubblico). ma il vero movente dell’odio ideologico verso il debito pubblico, e dei provvedimenti del tipo “pareggio di bilancio in costituzione”, è un altro, e si iscrive in modo abbastanza ovvio nella logica degli argomenti che stiamo svolgendo.

pareggio di bilancio significa zero debito/pil nel lungo periodo, cioè significa liberare una notevole quantità di risorse finanziarie le quali, non potendo più essere investite in titoli pubblici a basso rischio, necessariamente dovranno essere investite in titoli privati. lo scopo è semplicemente quello di liberare nuove risorse con le quali gonfiare le bolle. pensateci. uno speculatore che gioca sul rialzo di un titolo guadagna tanto più quanti più sono i fessi che lo comprano. e naturalmente se i fessi non hanno alternative risk free, la bolla può gonfiarsi molto, ma molto, ma molto di più.

con in più il beneficio aggiuntivo che se lo stato risparmia (non emettendo titoli), poi avrà risorse per leccare le ferite delle banche che venissero eventualmente coinvolte nello scoppio. e così vivranno tutti felici e contenti (salvo i risparmiatori). il pareggio di bilancio pubblico è un’ovvia prescrizione di politica economica in un sistema nel quale i soldi veri si fanno “passando al prossimo la moneta cattiva” (come dice keynes), ovvero dando la sòla, come dico più prosaicamente io. e ovviamente non serve a rendere il sistema più stabile, ma più instabile, perché libera nuovo ossigeno finanziario col quale gonfiare le bolle private.

TOO MUCH FINANCE

ecco: il solito bagnai-pensiero, complottista e bolscevico... invece no. novità! alla conclusione dalla quale eravamo partiti https://sbilanciamoci.info/anche-l-europa-ha-i-suoi-stati-subprime-3854/ qualche anno fa stanno arrivando in modo molto più rigoroso e autorevole importanti studi teorici e empirici. mi piace citarvene uno in particolare: http://upanizza.blogspot.com/2011/03/too-much-finance.html?m=1 too much finance, di jean louis arcand, enrico berkes, e ugo panizza. nel sito trovate sia il paper (molto tecnico) che https://voxeu.org/article/has-finance-gone-too-far una spiegazione divulgativa.

preciso che la tecnica è esattamente del tipo neo-keynesiano che piace agli ortodossi: si parte dall’ipotesi di razionalità, ma si introduce incertezza e asimmetrie informative, e si mostra che in presenza di possibili salvataggi da parte dello stato, le imprese tendono a indebitarsi più di quanto sarebbe socialmente ottimo (in termini di massimizzazione del prodotto). siamo nel contesto di modelli ampiamente accettati dal mainstream, come il modello di stieglitz e weiss, che è uno dei motivi per i quali stieglitz ha preso il http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/economics/laureates/2001/stiglitz-autobio.html nobel (ma naturalmente sappiamo, gli integralisti ce l’hanno detto, che https://www.noisefromamerika.org/articolo/giornalismo-economico-10-semplici-punti ai premi nobel non bisogna dare retta: non possiamo che augurarci che siano loro, gli integralisti, a prenderlo. anzi: siccome noi siamo convinti che essi siano bravi, bravissimi, integerrimi, integerrissimi, facciamo come se lo avessero già preso, e non gli diamo retta).

al di là del modello teorico, convincente per chi è del mestiere, ma inutile per i laici, i risultati empirici sono interessanti. “too much finance” giunge alla conclusione che quando il credito erogato al settore privato (cioè i debiti del settore privato) supera il 110% del pil, inizia ad avere effetti depressivi sull’economia, e che la presenza di ingenti debiti privati è un fattore amplificante di shock finanziari come lo shock lehman. gli effetti di lungo periodo dipendono da due elementi: dall’accresciuta instabilità del sistema (una spiegazione da keynesiano del VII giorno, in effetti, via minsky e kindleberger), e anche da distorsioni nell’allocazione delle risorse umane. perché pare che tobin (un altro keynesiano, non so di che libro o giorno, e soprattutto http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/economics/laureates/1981/tobin-autobio.html un altro premio nobel al quale non dare retta) abbia detto:

“stiamo buttando una quantità sempre maggiore di risorse, inclusa la crema della nostra gioventù, in servizi finanziari remoti dalla produzione di beni e servizi, in attività che generano redditi del tutto sproporzionati rispetto alla loro produttività sociale”

james tobin (1984) “on the efficiency of the financial system” lloyds bank review, 153, 1-15 (citato da arcand et al. 2011 "too much finance").

e io ne so qualcosa.

dedicato ar pantegana. uno studente meraviglioso, brillante, simpatico, reattivo, provocatorio, insomma: ‘na crema, avrebbe detto geims (tobin). e dove è finito?? a dare sòle alle vecchiette (scusa panty, è una provocaZZione...). e io lo capisco, per carità. cosa avrei potuto dargli in cambio, a parte una pizzetta al bar?? sai com’è, dobbiamo essere austeri. nella ricerca non c’è futuro, o quanto meno non ce n’è se prima non vai in amerika a imparare bene quello che devi dire (non sia mai ti sbagli). quando si taglia, lo sai, prima tocca alla musica, e subito dopo alla ricerca. certo che pure io so’ stato un solone...

la fonte = https://goofynomics.blogspot.com/2012/01/i-keynesiani-del-vii-giorno-o-too-much.html?m=1

le mie quattro considerazioni su i keynesiani del VII giorno, o “too much finance” :

1. la finanziarizzazione dell'economia crea instabilità

2. il problema si risolve facendo sì che lo stato si prenda la responsabilità di fare investimenti che creano lavoro e quindi anche risparmio delle famiglie e delle imprese

3. la famiglia tramite i loro risparmi prestano i soldi agli imprenditori che avviano la loro attività imprenditoriale. la famiglia ci guadagna perché l'imprenditore avviando i soldi in un'impresa produttiva gli restituirà i soldi più gli interessi, così che la famiglia possa viversi una serena vecchiaia

4. sergio cesaratto spiegava la dinamica del debito a un simpatico soggetto che non capiva neanche che il capitalismo si regge su debito~credito e difendeva il capitalismo dicendo che il debito cioè i nostri soldi sono una brutta cosa, ci sarebbe un detto: anche in inverno le foglie nascondono l'albero, dalla neve aggiungerei io

vi lascio leggere il post di alberto bagnai e le quattro considerazioni, così che possiate farvi un'idea vostra

una sognatrice che non smette di combattere ♡

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